Iperico

Hypericum perforatum L.

Tossicità

Sommario.
La sicurezza dell'Hypericum, quando consumato nei parametri terapeutici, è fuori discussione.

Nessun aumento provato della frequenza di malformazioni o altri effetti negativi sul feto da consumo di un numero limitato di donne. Nessuna evidenza di un aumento del danno fetale in studi animali.

Compatibile con l’allattamento al seno ma usare cautela

Non sono stati evidenziati potenziali mutageni, carcinogeni od epatotossici.

L'unico potenziale pericolo è l'autointossicazione e overdose da parte di individui gravemente depressi o con HIV/AIDS; monitoraggio per sviluppo di eritema solare.

Gli effetti avversi riscontrati si limitano a sintomi gastrointestinali, e raramente a eritrodermia e fotosensibilizzazione

Discussione dei dati
Analisi generale sulla sicurezza degli estratti

L'iperico è stato usato dall'umanità fin dall'antichità, e in tempi recenti è stato venduto come supplemento per più di vent'anni.
Nessun decesso è mai stato associato al suo utilizzo (Blumenthal, et al., 1998). Centinaia di migliaia di prodotti a base di iperico sono in vendita senza bisogno di ricetta medica in tutta Europa e non vi sono stati casi segnalati di effetti collaterali significativi o d'interazioni con farmaci o con cibi, se si escludono i casi emersi nei primi mesi del 2000. Gli unici studi a lungo termine (relativi all'attività antivirale) non hanno fatto segnalare alcun effetto collaterale (Vonsover et al, 1996; Steinbeck-Klose e Wernet, 1993). In un articolo del 1999, Vitiello del NIHM (National Institute of Mental Health, USA) ha dichiarato che «tutti gli studi clinici sugli estratti di Hypericum perforatum L. hanno riportato che essi sono particolarmente sicuri ed esenti da reazioni avverse serie» (Vitiello, 1999). Secondo una review pubblicata nel marzo 1999, l'iperico non mostra effetti collaterali cardiaci o anticolinergici (Josey e Tackett, 1999). Molti autori hanno sottolineato questa assenza o ridotta incidenza di effetti collaterali (Cott, 1998; Linde et al., 1996; Woelk, et al., 1994), comunque sempre di tipo lieve [Bloomfield, 1996]. In una review sistematica molto ampia compiuta nel 1998 da Ernst e collaboratori (Ernst et al., 1998), le conclusioni sono state che l'iperico è ben tollerato e ha un'incidenza di effetti collaterali paragonabile a quella del placebo. Un'altra review del 1999, ha concluso che gli effetti collaterali sono leggeri e sotto il 3% (Kasper e Schulz, 1999), mentre in uno studio svizzero in doppio cieco sono stati osservati solo leggeri effetti collaterali nel 2% dei pazienti (Lenoir et al., 1999).
L'iperico inoltre non dà luogo a dipendenza (Laakman et al., 1998).

Tossicologia
Nessun segno di tossicità è stato notato in studi su modelli animali, dopo l'uso di dosi fino a 9,000mg/kg di peso corporeo (Leuschner, 1996/7).

Genotossicità
Molti studi in vivo e in vitro hanno dimostrato che l'iperico non è genotossico né mutageno (Okpanyi et al., 1990; Schimmer et al., 1988; Poginsky et al., 1988).

Fototossicità
L'attività fototossica su pecore foraggianti è stata menzionata fin dal 1787 da Cirillo. Per tutto il XIX secolo molte pubblicazioni hanno riportato il complesso sintomatologico di sensibilizzazione acuta e subacuta denominato “ipericismo”. Questi sintomi, in parte severi, furono riscontrati anche in bovini e cavalli. Più tardi, in esperimenti compiuti su conigli e pecore, l'agente colorante rosso, l'ipericina, fu considerato responsabile della reazione fotosensibilizzante (Schilling, 1969). Il composto viene assorbito attraverso l'intestino e si concentra vicino al derma dell'animale. Dopo l'esposizione alla luce solare e in presenza di ossigeno avviene un'emolisi fotodinamica che porta a un danno tessutale. In assenza di luce solare il composto non mostra tossicità (Thomas-Bradley 1992; Garret, et al., 1982). Un altro sintomo associato alla fotosensibilizzazione secondaria negli animali è una variazione nei livelli degli enzimi epatici che porta a un danno epatico (Garret, et al., 1982). Queste osservazioni sono collegate alle grandi quantità di pianta fresca consumata dagli animali (un chilo o più di pianta fresca al giorno).
Nonostante il fatto che la fototossicità sia stata dimostrata per diverse specie animali, essa è, invece, molto rara negli esseri umani. Un componente attivo, l'ipericina, può probabilmente sensibilizzare alla luce solare individui già sensibili alla luce (individui dalla pelle molto chiara) (Fugh-Berman e Cott, 1999), ma nella review per questo aggiornamento, è stato possibile rintracciare solo rari casi registrati di sintomi fototossici negli esseri umani.
La fotosensibilizzazione è stata dimostrata in uno studio clinico che coniugava l'uso di ipericina a radiazioni UVA e UVB (Brochmoller et al., 1997), come anche in uno studio sull'assunzione orale di alte dosi di ipericina sintetica (Anderson, 1992).
In una tabella di effetti collaterali registrati durante i vari studi clinici e i monitoraggi sull'iperico (tabella che raccoglie 3250 casi), la fototossicità non viene menzionata per nulla. Tra gli effetti collaterali elencati troviamo: sintomi gastrointestinali (0,55%), reazioni allergiche (0,52%), affaticamento, ansia e vertigine (rispettivamente 0,4 , 0,26 e 0,15%) (Woelk et al., 1994)
Ernst e collaboratori hanno presentato una review sistematica delle reazioni avverse associate all'uso di estratti d'iperico in casi clinici, studi clinici, sorveglianza post-marketing e studi di monitoraggio farmaceutico. Un'analisi collettiva dei dati suggerisce che l'ipericina sia ben tollerata, con un'incidenza di reazioni avverse simile a quella del placebo. Gli effetti collaterali più comuni sono sintomi gastrointestinali, vertigine/confusione e stanchezza/sedazione. Gli autori dichiarano che la reazione avversa di fotosensibilità è molto rara, ma non riportano alcun caso nel loro studio (Ernst, et al. 1998) e concludono che l'Hypericum possiede un profilo tossicologico sicuro e rassicurante. D'altro canto, dato che la maggior parte dei dati proviene da investigazioni a breve termine, è auspicabile intraprendere studi a lungo termine.
Gli unici studi a lungo termine (aperti) riportati al momento si riferiscono all'attività antivirale di Hypericum perforatum. Pazienti in AIDS hanno ricevuto monoterapia con ipericina di derivazione vegetale (1x2 mL endovena settimanale più 6x2 tavolette di Hypericum perforatum L.al giorno) per periodi dai 4 ai 6 anni, e durante questo periodo non si sono osservati effetti collaterali. È interessante notare che è soltanto l'attività fotodinamica di questa molecola a essere associata all'attività antivirale. L'ipericina assorbe un fotone di energia, genera un singoletto di ossigeno eccitato che si lega in maniera covalente alle proteine della capside virale e previene il “denudamento” del virus durante l'infezione. Questa scoperta dà un forte supporto all'uso dell'ipericina o dell'iperico come modalità di trattamento antivirale non tossica e a lungo termine (Vonsover et al., 1996). Uno studio precedente con parametri simili ha analizzato i pazienti per un periodo di 40 mesi. Gli autori hanno concluso che in nessun caso sono stati riscontrati sintomi neurologici o toxoplasmosi, e nessun effetto collaterale è stato notato o misurato in alcuno dei pazienti (Steinbeck-Klose e Wernet, 1993). Bisogna far notare che l'ipericina e le molecole ipericina-like (pseudoipericina, protoipericina, isoipericina ecc.) si ritrovano nella pianta a percentuali dello 0,05-0,3% (Wichtl, 1994) e che è necessario comparare queste percentuali al dosaggio di estratto totale utilizzato, o al dosaggio della molecola isolata utilizzata.
In uno studio che ha utilizzato ipericina sintetica per il trattamento di pazienti con HIV, tutti hanno sviluppato fototossicità (fastidio ed eritema solare), che variava in severità ed era dose dipendente a più di 0,5 mg/ kg di peso corporeo (Mcauliffe et al. 1993).
Per concludere questa review sull'attività fototossica di Hypericum perforatum L.e dei suoi costituenti, citeremo due recenti studi.
Per determinare se la fototossicità potesse limitare l'utilizzo terapeutico dei farmaci contenenti ipericina, Schempf e collaboratori (Schempf et al., 1999) hanno investigato la presenza di ipericina e pseudoipericina nel siero umano e nel fluido delle vesciche cutanee dopo una monodose orale (1 x 6 tavolette) o steady-state (3 x 1 tavoletta/giorno per 7 giorni) di estratto d'iperico a volontari sani. Dopo la somministrazione della monodose il livello medio ematico dell'ipericina totale (ipericina + pseudoipericina) era di 43 ng/mL e il livello medio nel fluido delle vesciche cutanee era di 5,3 ng/mL. Dopo la somministrazione steady-state il livello medio ematico dell'ipericina totale era di 12,5 ng/mL e il livello medio del fluido delle vesciche cutanee era di 2,8 ng/mL. Questi livelli cutanei sono molto al di sotto dei livelli cutanei stimati come fototossici (>100 ng/mL).
Un altro gruppo di ricerca ha investigato l'attività fototossica dell'estratto d'iperico usando colture di cheratinociti umani. Sono risultati effetti fototossici sulle singole cellule dopo un irradiamento con UVA o radiazione di luce visibile in caso di concentrazioni elevate di ipericina (? 50 ng/mL). Gli stessi autori hanno comparato questi risultati con l'attività degli psoraleni, molecole che hanno mostrato azione fototossica in un esperimento dallo stesso design a concentrazioni di soli 10 ng/mL. Gli autori concludono che i livelli ematici di ipericina previsti nel caso di un utilizzo terapeutico sono troppo bassi per indurre tali effetti (Bernd et al., 1999). Recenti studi sulla fototossicità sono collegati all'utilizzo di dosi molto elevate di ipericina o di estratto, come richieste nelle terapie antitumorali dove l'attività fotosensibilizzante è desiderabile. L'ipericina è stata infatti proposta come agente fotosensibilizzante per la terapia antitumorale fotodinamica (Vandenbogaerde et al., 1998)
Dalla documentazione che abbiamo presentato appare evidente che, per quanto riguarda il rischio di reazioni fototossiche, l'utilizzo di dosi terapeutiche di Hypericum perforatum L. è assolutamente sicuro, come riportato per le migliaia di partecipanti in vari trial clinici. Un discorso a parte merita l'utilizzo dell'ipericina come farmaco antitumorale (vedi prossimo paragrafo).
La dose terapeutica consiste in 2-4 g della pianta, o fino a 1 mg di ipericina (Wichtl, 1994; Blumenthal, 1999; Weiss, 1990), o fino a 10-20 gocce per 3 volte al giorno di estratto fluido (1:1) [Vandebogaerde et al., 1998], 2-4 mL estratto liquido 1:1 in 25% alcol o tintura 1:10 in 45% alcol [British Herbal Pharmacopoeia, 1983]. L'eventuale fotosensibilizzazione è in genere moderata e transiente, e scompare in pochi giorni dalla fine della terapia. La dose minima stimata di estratto d'iperico che provoca una reazione fototossica è di circa 30 volte superiore alla dose terapeutica normale [Geise, 1980], e anche se casi di reazioni a dosaggi più bassi non sono impossibili (Firenzuoli e Luigi, 1999) sono però molto rari (Vandenbogaerde et al., 1988; Golsch et al.,1997).
Un altro recente risultato di laboratorio riportato a una Sessione Plenaria della American Society for Photobiology (Roberts J., 1998) propone che l'ipericina possa produrre radicali liberi quando reagisce con la luce visibile o UV, radicali che possono danneggiare la retina. Un articolo dell'anno seguente (Roberts et al., 1999) dello stesso autore, mette in guardia contro il rischio di cataratta in soggetti che assumano iperico in maniera regolare. Nello studio i ricercatori produssero una soluzione di ipericina, a un livello equivalente a varie migliaia di volte la dose consigliata della pianta, e di proteine isolate da lenti di occhi di vitello, esponendo la mistura alla luce. Il risultato fu un danno a delle proteine (lo stesso tipo di danno ritrovato nelle cataratte). La conclusione dei ricercatori fu che l'esposizione alla luce intensa avrebbe potuto causare danni agli occhi di soggetti che assumessero iperico in modo regolare. Ma questa conclusione non è assolutamente supportata dai dati. L'estrapolazione da uno studio in vitro su una molecola isolata all'effetto della pianta intera (contenente almeno 40 composti attivi (Marcowitz et al., 1999) su soggetti non è giustificata. Nessun caso di problemi oculari è mai stato osservato o registrato in alcuno dei molti studi clinici con Hypericum perforatum

Conclusioni
Per concludere, vorremmo quindi invitare tutti i commentatori scientifici e i legislatori a mantenere il senso delle proporzioni riguardo alla presunta pericolosità di Hypericum perforatum. Si commetterebbe un enorme errore, figlio di una visione scientista della medicina, se si considerasse secondario il fatto che questa pianta è stata usata per migliaia di anni in tutto il mondo, dalla Cina al nord dell'Europa, senza che ne venisse riportata alcuna tossicità. L'interazione con la famiglia enzimatica P450 non è un fattore di tossicità intrinseco; non è altro che la dimostrazione di un fatto risaputo anche se spesso dimenticato, e cioè che l'iperico è una pianta epatica. Essa facilita il metabolismo epatico di molte sostanze: se in alcuni casi questo fatto risulta un inconveniente (perché interagisce con i dosaggi dei farmaci) in molti altri casi può essere un fattore positivo.

Quanto all'opinione espressa dalle autorità irlandesi che la prescrizione dell'iperico per le forme lievi di depressione debba sempre essere limitata alla classe medica, contrasta con l'opinione espressa dalle autorità svedesi, le quali accettano che: «l'automedicazione per leggeri abbassamenti del tono dell'umore viene considerata appropriata» (Qing-Ying Yue, et al., 2000). Un atteggiamento di rigido paternalismo medico contrasta, inoltre, con i profondi cambiamenti intervenuti nell'etica medica negli ultimi decenni e con il riconoscimento della profonda importanza del punto di vista del paziente nelle decisioni sulla propria salute.
Certo, il fatto che le preparazioni a base d'iperico si siano dimostrate efficaci nel trattamento delle forme moderate di depressione, e la scoperta delle possibili interazioni con farmaci molto potenti ci devono far riflettere sull'importanza di una nuova legislazione sulle piante medicinali in Europa, una legislazione che permetta di apporre indicazioni e avvertenze d'uso sulle confezioni. Come associazione europea, L'EHPA ormai da anni fa pressione sulla Commissione europea perché implementi un sistema europeo di licenza alternativo per i fitopreparati e simili (McIntyre, 1999), e per una legislazione più chiara a difesa del consumatore sia dal punto di vista della qualità e della sicurezza dei fitopreparati sia per quanto riguarda una miglior informazione dell'utente (EHPA, sito ufficiale).
Secondo il direttore dell'EHPA, Michael McIntyre: «La reazione irlandese è esagerata. Ciò di cui abbiamo bisogno è che i politici, i legislatori e l'establishment medico riconoscano la legittimità della richiesta della popolazione di poter disporre di questa pianta, richiesta che ha raggiunto dimensioni mondiali, e che essi si adoperino per la creazione di una legislazione specifica per le piante medicinali che assicuri la possibilità di apporre le necessarie cautele riguardo le interazioni pianta-farmaco» (McIntyre, comunicazione personale).
Il rischio altrimenti è che i provvedimenti tesi a bandire l'utilizzo di questa come altre piante medicinali possano essere interpretati come “suggeriti” da particolari fini commerciali, piuttosto che dall'interesse dei cittadini dell'Unione europea.
Gli autori sono convinti che le piante siano proprietà dei popoli che ne hanno fatto uso per millenni, e che ancora le usano in parti del mondo meno sviluppate economicamente. Milioni di persone dipendono esclusivamente dalle medicine rurali ed erboristiche. Il fatto di essere nati e di vivere in paesi più ricchi non è una buona ragione per abbandonare l'uso, la vendita e l'acquisto di piante efficaci e sicure.


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