Canapa

Cannabis sativa L.

Farmacologia

    Farmacocinetica THC

    (Grotenhermen 2001; Brenneisen 2002)

    Assorbimento: molto rapido per inalazione, dopo pochi secondi è individuabile nel plasma e raggiunge il picco massimo in 5 minuti; gli effetti psicotropi si avvertono in secondi o minuti, l'effetto massimo si raggiunge mediamente in 30 minuti e dura fino a 2-3 ore, gli altri effetti (non psicotropi) possono durare anche fino a 12 ore.
    L'assorbimento dopo assunzione orale è lento ed erratico, anche se viene migliorato con l'utilizzo di veicolo lipofilici. L'effetto psicotropo si avverte dopo 30-90 minuti e arriva al picco dopo 2-7 ore. L'effetto può durare dalle 5 alle 8 ore.

    Distribuzione: dopo l'ingresso nel torrente ematico i primi tessuti ad essere raggiunti sono quelli altamente vascolarizzati; in un secondo tempo il THC si accumula nel tessuto adiposo, determinando una lenta fase di riduzione della concentrazione plasmatica.
    Il THC a livello plasmatico si trova soprattutto legato a proteine plasmatiche (in particolare lipoproteine).

    Metabolismo: l'organo principale del metabolismo è il fegato, polmoni ed intestino giocano un ruolo molto minore. A livello epatico il sistema P450, isoenzima CYP209, è responsabile per l'apparire del metabolita psicoattivo più importante, il 11-OH-THC, con attività psicotropa qualitativamente identica al THC ma più intensa. L'11-OH-THC viene poi trasformato, sempre dal P450, in un metabolita finale non psicoattivo, il 11-nor-THC-COOH.

    Eliminazione: l'emivita di eliminazione si aggira sui 1-4 giorni, ma l'eliminazione totale può prendere 5 settimane, e alcuni metaboliti del THC sono stati riscontrati nelle urine di fumatori assidui di Cannabis dopo 80 giorni dall'ultima assunzione.

    Farmacodinamica: introduzione

    Un'articolo pubblicato di recente sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet (Baker et al 2003) fa il punto sul potenziale terapeutico della Cannabis. L'articolo è interessante non solo per la panoramica che ci offre sulle ultime ricerche, ma perché segna, a mio avviso, un passaggio importante. Negli ultimi anni si è velocemente passati da una diffidenza del mondo accademico per l'argomento Cannabis terapeutica ad una sempre più intensa ricerca sulle basi scientifiche per le tanti ipotesi sulle proprietà farmacologiche (la ricerca è però ancora fortemente inibita dallo status legale della pianta). Sono state fornite solide basi biologiche per attività da sempre riconosciute dagli “utenti”, come l'attività oressigenica, antiemetica, analgesica, antiglaucoma, antiispastica, ecc. Da quando sono stati scoperti i recettori specifici per i cannabinoidi, ed in particolare da quando si è iniziato a definire i primi endocannabinoidi (tra il 1990 e il 1993), l'interesse è mutato. Perché non si tratta più 'soltanto' di una interessante pianta medicinale, bensì di una pianta che ci offre una chiave per capire il funzionamento dei meccanismi di regolazione cerebrale, proprio come decenni fa è stato il caso per gli oppiacei. La scoperta del sistema cannabinoide permette di avanzare ipotesi non solo di ordine squisitamente neurobiologico ed evolutivo, ma anche più pragmaticamente di ipotizzare campi applicativi sui quali concentrarsi.

    Gli autori danno per scontato che nel futuro si arriverà ad utilizzare molecole isolate per il trattamento delle patologie, perché considerano questa come la modalità di trattamento più auspicabile; nell'articolo non vengono esaminati i pro e i contro dell'uso della cannabis piuttosto che delle molecole isolate. A mio parere più attenzione e meno pregiudizi da parte del mondo biomedico verso il fitocomplesso sarebbero auspicabili, ma a prescindere dalle posizioni assunte non si può non essere soddisfatti del fatto che sempre di più si chiariscano le potenzialità curative di questa pianta.

    Biologia del sistema cannabinoide

    Siti e meccanismi d'azione
    Nell'ultimo decennio del secolo scorso sono stati scoperti dei recettori specifici per i cannabinoidi. Nel 1990 è stato clonato il primo di questi recettori (CB1) e nel 1993 il secondo (CB2); nello stesso periodo (1992) sono stati scoperti degli agonisti endogeni dei recettori CB, i più importanti dei quali sono l'anandamide e il 2-arachidonilglicerolo. La distribuzione di questi recettori riesce a dare ragione della maggior parte degli effetti associati all'uso di cannabinoidi.
    Che il CB1 sia il recettore principale che negli esseri umanimedia gli effetti della Cannabis è stato confermato da uno studio clinico del 2001 che ha usato un antagonista del recettore (lo SR141716 ) (Huestis et al 2001)

    Siti recettoriali
    CB1 si trova soprattutto nei tessuti nervosi, in particolare nel SNC (nei gangli basali, nel cervelletto, nell'ippocampo e nella corteccia).
    All’interno del SNC, le regioni più ricche in recettori CB1 sono: la corteccia (bassa densità); l’ippocampo, l’amigdala e l’ipotalamo (questi tre insieme formano un sistema funzionale detto sistema limbico); il cervelletto; i gangli basali. Di particolare rilevanza sono le seguenti aree:
    • Sistema limbico = è coinvolto nei processi di consolidamento della memoria (Ippocampo) e nella gestione degli stati emotivi e motivazionali ed in parte anche nel fenomeno della dipendenza (amigdala allargata, parte del cosiddetto “cervello emotivo” e del sistema di reward e collegata all’ipotalamo, vero “ponte” neuroendocrino).
    • Gangli basali = strutture preposte al controllo della motilità involontaria che comprendono: la Substantia Nigra, il Globus Pallidus, il Nucleo Caudato ed il Putamen.

    La distribuzione dei recettori CB1 nel cervello si accorda bene con gli effetti dei cannabinoidi sulla coordinazione motoria, sul consolidamento della memoria a breve termine, sulla percezione, nonchè sulla regolazione di stati emotivi quali il piacere e l'aggressività. I recettori sono presenti anche nella sostanza grigia periacqueduttale, la zona dove THC e oppioidi svolgono la loro primaria azione antinocicettiva, ed infine anche nei terminali nervosi periferici, in particolare nei percorsi afferenti dorsali principali del midollo spinale (e questo si accorda con l'effetto analgesico), mentre sono poco presenti nella zona del tronco encefalico, sede di importanti funzioni autonomiche di base (e questo spiegherebbe la mancanza di effetti letali). Si può ipotizzare per il sistema cannabiboide una funzione 'anti-stress' simile a quella coordinata dalsistema endorfinico sia a livello 'centrale' che periferico.
    CB1 è però presente anche in altri organi e tessuti, come leucociti, milza, cuore, tratto urinario ed intestinale, e nei bastoncelli e nei coni della retina di animali con apparato oculare simile a quello umano. Quest'ultima scoperta suggerisce che, vista l'affinità dei CB1 per i canali calcio, essi possano essere responsabili per alcuni degli effetti visivi tipici dell'assunzione di cannabinoidi e Cannabis (Straiker et al 1999).

    CB1 agisce tramite proteine Gi/o, inibendo l'adenilato-ciclasi e i canali Ca tipo N e P/Q, stimolando la proteino-chinasi mitogeno-attivata (PCMA) e i canali potassio tipo A. (Wachtel et al 2002; Pertwee 2002). Sembrerebbe esistere parzialmente in stato pre-occupato (ma vedi più avanti le teorie sullo stato 'tonico' del sistema endocannabinoide).

    CB2 è più presente nelle cellule del sistema immunitario, nella milza, e nelle tonsille, e nelle cellule emopoietiche. Non sembra avere alcun effetto neurologico, ma ha un effetto emopoietico e sulla risposta immunitaria. Anche CB2 agisce tramite proteine Gi/o, inibendo l'adenilato-ciclasi e stimolando la PCMA, ma non pare essere accoppiato a canali ionici. (Wachtel et al 2002; Pertwee 2002)

    Sembra esistano anche altri recettori per i cannabinoidi, che però hanno una somiglianza solo funzionale e non strutturale con i recettori CB. Anandamide e metanandamide (vedi più sotto il capitolo Endocannabinoidi) possono attivare i recettori vanilloidi (VR); alcuni autori hanno proposto che i VR siano in realtà dei recettori per i cannabinoidi di nuovo tipo: CB3.

    Endocannabinoidi: agonisti endogeni
    Nel 1992 è stato isolato, dal cervello del maiale, il primo degli agonisti endogeni dei recettori CB (endocannabinoidi): l'anandamide (= arachidoniletanolamide; il termine anandamide deriva dalla parola Sanscrita ananda per 'stato di grazia'), e due analoghi strutturali, che attivano preferenzialmente il recettore CB1 (Bayewitch et al. 1995); in seguito nei tessuti periferici è stato isolato il monoacilglicerolo 2-arachidonilglicerolo (2AG), proposto inizialmente come un ligando per il recettore CB2, ma che risulta in grado di attivare indifferentemente entrambi i tipi di recettori per il THC (Mechoulam et al. 1995).
    Altri endocannabinoidi scoperti in seguito sono il palmitoil etanolamide, la virodamina, il NADA (N-arachidonildopamina), e il noladin-etere. Questi ultimi mostrano attività legante per i recettori CB ma il loro ruolo fisiologico è ancora oscuro.

    Biosintesi ed inattivazione degli endocannabinoidi.
    L'anandamide e la 2AG funzionano come neuromodulatori o neurotrasmettitori.che vengono sintetizzati 'al bisogno' a partire da precursori biosintetici fosfolipidici presenti nelle membrane cellulari neuronali, solo quando la cellula è stimolata, ad es. dall'ingresso di ioni calcio, e solo allora vengono rilasciati all'esterno della cellula. La sintesi avviene attraverso una fosfolipasi D (per l'anandamide) o C (per la 2AG).
    Questi composti vengono rilasciati velocemente, a seguito di una depolarizzazione, dai neuroni postsinaptici a livello ematico, e si legano ai recettori del THC presenti su cellule limitrofe o sulla stessa cellula che li ha prodotti, comportandosi così come mediatori autocrini o paracrini. Agiscono come messaggeri retrogradi per modulare il rilascio di neurotrasmettitori dai terminali presinaptici; l'interazione con CB1 inibisce la neurotrasmissione GABAergica nell'area tegmentale ventrale (VTA), causando un aumento del ritmo di 'firing' dei neuroni dopaminergici nel circuito VTA-mesolimbico, con conseguente aumento di dopamina nel nucleo accumbens. (Wachtel et al 2002; Pertwee 2002; Elphick, Egertova 2001; Szabo, Siemes, Wallmichrath 2002). Vengono poi rimossi velocemente dallo spazio extracellulare.
    L’ inattivazione avviene mediante ricaptazione; un sistema di trasporto selettivo, saturabile e mediato da carrier, presente sui neuroni e sugli astrociti. Una volta all'interno della cellula l'anandamide e la 2AG verrebbero idrolizzate ad acido arachidonico ed etanolamina da una idrolasi ammidica degli acidi grassi. Da notare però che non è ancora stato individuato un carrier specifico per la 2AG.

    Questi meccanismi differenziano gli endocannabinoidi da altri neuromediatori quali l’acetilcolina, il glutammato, la noradrenalina (che vengono presintetizzati e conservati in vescicole secretorie che rilasciano all'esterno il loro contenuto dopo una stimolazione), e li rende simili ad altri derivati bioattivi dell'acido arachidonico, quali le prostaglandine (che vengono sintetizzati ex novo ad ogni stimolazione).

    I recettori CB e gli endocannabinoidi formano il cosiddetto 'sistema cannabinoidico endogeno' (SCE).


    La funzione del sistema SCE
    Secondo Baker et al (2003) lo SCE è principalmente un sistema di regolazione delle neurotrasmissioni sinaptiche. Fondamentalmente la depolarizzazione post-sinaptica causerebbe la sintesi e il rilascio di endocannabinoidi che andrebbero ad occupare i recettori CB presinaptici inibendo l'ulteriore rilascio di neurotrasmettitori. Questa azione inibitoria influisce su molti sistemi di neurotrasmissione, e l'evidenza sperimentale suggerisce una azione su: glutammato, GABA, glicina, noradrenalina, serotonina, dopamina, acetilcolina e neuropetpidi.

    Chiaramente l'effetto finale dell'azione modulatrice dipende da quali circuiti neuronali saranno influenzati, dato che gli stessi neurotrasmettitori possono avere effetti diversi secondo il contesto di circuiti nel quale stanno operando. Se lo SCE è un sistema modulante generale non specializzato (che ricorda i sistemi a 'valore' di Edelman e Tononi 2000), allora il periodo più plastico nello sviluppo del cervello, quello cioè nel quale avviene una selezione neuronale più spinta (periodo fetale e post-natale fino alla preadolescenza), è particolarmente delicato perché pone le basi per la modellazione di base del sistema. E' quindi importante non sottovalutare i possibili effetti di un'esposizione a cannabinoidi esogeni in questo periodo. Un altro possibile ruolo dello SCE, legato all'azione neuroprotettiva ed antiossidante dei cannabinoidi che verrà analizzata più avanti nell'articolo, è quello di meccanismo a feedback negativo che sintetizza endocannabinoidi in risposta a flussi cellulari di Ca eccitotossici (da glutammato), funzionando da sistema di prevenzione del danno cerebrale.

    La questione dei meccanismi dello SCE è ulteriormente complicata dall'esistenza di alcuni leganti sintetici che hanno dimostrato un effetto agonista inverso (SR 141716A; SR 144528; LY 320135; AM 630). Questo effetto suggerisce che lo SCE possieda un 'tono' che può essere aumentato o diminuito. L'esatta natura di questo stato 'tonico' non è chiara, ed esistono almeno due teorie non mutuamente incompatibili. Secondo la prima teoria i recettori CB esisterebbero in due possibili stati: on e off; lo stato on può attivare il sistema anche in assenza di cannabinoidi, mentre lo stato off non è attivo. Un antagonista puro e reversibile agirebbe su entrambi gli stati lasciando l'equilibrio generale sostanzialmente inalterato. Un agonista inverso non sarebbe altro che un agonista con particolare affinità per lo strato off e che sposterebbe quindi l'equilibrio verso questo polo, mentre un agonista puro non sarebbe altro che un agonista con affinità per lo stato on. Secondo la seconda teoria invece lo stato tonico dello SCE dipenderebbe da un continuo rilascio di endocannabinoidi agonisti il cui effetto potrebbe essere ridotto da antagonisti puri.

    Effetti dose-dipendenti riscontrati

    (Akinshola, Chakrabarti e Onaivi 1999; Grotenhermen 2002).

    Apparato cardiovascolare: tachicardia ed aumento dell'output cardiaco, vasodilatazione periferica, ipotensione ortostatica, inibizione dell'aggregazione piastrinica.

    Occhi: Iniezione (vasodilatazione), riduzione del flusso lacrimale, riduzione della pressione intraoculare

    Sistema nervoso: stimolazione dell'appetito, analgesia, rilassamento muscolare, effetto antiemetico, neuroprotettivo in caso di ischemia e anossia

    Effetti psicologici: euforia, disforia, ansia e riduzione dell'ansia, aumento delle percezioni degli stimoli esterni e del proprio corpo, sensazione del proprio corpo che fluttua o cade, distorsione temporale, problemi di memoria e di concentrazione.

    Sistema respiratorio: broncodilatazione, iposalivazione

    Sistema gastrointestinale: ridotta motilità intestinale

    Sistema immunitario: immunomodulazione (passaggio da profilo citochinico Th1 a Th2).

    Potenzialità terapeutiche

    Grotenhermen (2002) ha costruito una gerarchia degli effetti terapeutici della Cannabis basata sulla quantità e qualità dei dati a nostra disposizione:

    Effetti stabiliti: nausea e vomito, anoressia e cachessia

    Effetti relativamente ben confermati: spasticità, condizioni dolorose (in particolare dolore di origine nervosa), disordini del movimento, asma e glaucoma

    Effetti meno confermati: allergie, infiammazioni, infezioni, epilessia, depressione, disordini bipolari, ansia, dipendenza, sindrome d'astinenza.

    Effetti allo stadio di ricerca: malattie autoimmuni, cancro, neuroprotezione, febbre, disordini della pressione arteriosa.

    Lo stesso autore raccomanda però di non prendere questa gerarchia come una indicazione assoluta dei benefici della Cannabis, e fa notare come i benefici nel campo dei disordini del movimento pochi anni fa sarebbero stati classificati come 'meno confermati', ed è probabile che, visti i risultati delle ultime ricerche, in pochi anni saranno classificati come 'effetti stabiliti'.

  • Analgesica

    Studi clinici
    In una metanalisi degli studi sul dolore pubblicati fino al 2000 (Campbell et al. 2001), gli autori concludono che nel trattamento del dolore di origine neuropatica e in quello legato a fenomeni di spasticità muscolare (SM, lesioni midollari) le evidenze concordano nel suggerire un possibile ruolo terapeutico dei cannabinoidi, anche se si necessitano ulteriori conferme. I cannabinoidi sarebbero meno utili per il trattamento di dolore tumore-correlato e post-chirurgico, applicazioni che non sono comunque tra quelle comunemente proposte per la Cannabis.

    Due studi clinici posteriori a quelli analizzati nella metanalisi di Campbell e collaboratori (Campbell et al. 2001) hanno mostrato effetti positivi sulla soglia di dolore e tolleranza al dolore (Holdcroft 2002) ma i risultati sono poco generalizzabili a causa delle forti limitazioni dello studio. Tre studi di miglior qualità hanno mostrato attività analgesica del THC 5 mg paragonabile a codeina 50 mg con miglior effetto antispasmodico; riduzione dell'assunzione di morfina mediante co-somministrazione di THC e effetto analgesico dose-dipendente in pazienti tumorali terminali (Holdcroft 2002). Gli effetti collaterali sono quelli tipicamente associati all'assunzione di cannabinoidi: sonnolenza, sedazione, ecc. E' stato notato che l'assunzione di cannabidiolo in congiunzione al THC mitiga gli effetti collaterali, che non sono in ogni modo più severi di quelli delle terapie standard e non sono potenzialmente letali come nel caso della morfina.

    Studi clinici più recenti di buona qualità, randomizzati confermano parte dei dati sul dolore neurogenico. Wade e collaboratori (Wade et al 2003) hanno portato avanti uno studio preliminare, costituito da una serie di 24 studi clinici randomizzati, controllati con placebo, in doppio cieco ed incrociati del tipo “N pari a 1” (paziente singolo) della durata di 2 settimane ciascuno, con pazienti sofferenti di sclerosi multipla (18), lesione al midollo spinale (4), lesione al plesso brachiale (1), ed amputazione di un arto a causa di neurofibromatosi (1). I pazienti sono stati trattati con: THC; cannabidiolo (CBD); miscela 1:1 CBD:THC; o placebo, tutti autosomministrati per via sub-linguale (dose 2.5-120 mg/24 ore). THC e CBD sono risultati superiori al placebo per il controllo del dolore, e tutti gli estratti di Cannabis sono risultati superiori al placebo in caso di spasticità, controllo della vescica e spasmi muscolari. Gli effetti collaterali erano prevedibili e ben tollerabili (tre casi di ipotensione ed intossicazione rapida da THC).

    Notcutt e collaboratori (Notcutt et al. 2004) hanno eseguito uno studio simile a quello di Wade et al (2003), analizzando 34 studi del tipo “N pari a 1”, su pazienti con dolore cronico e sintomi associati, generalmente di tipo neuropatico, trattati con THC; CBD; e miscela 1:1 THC:CBD, per un periodo di 12 settimane. La parte inziale dello studio era del tipo aperto (nessun mascheramento), e poi si è passati ad un design di tipo randomizzato, in doppio cienco, controllato con placebo ed incrociato. Gli estratti con THC sono risultati i più efficaci nel controllo del dolore, e le reazioni avverse sono state lievi, generalmente accettabili e paragonabili a quelle riscontrabili in altri agenti psicoattivi per la gestione del dolore cronico.

    Berman e collaboratori (Berman, Symonds, Birch 2004) hanno invece testato l’efficacia di due estratti totali di Cannabis su 48 soggetti sofferenti di dolore centrale neutrogenico, in uno studio randomizzato in doppio cienco, controllato con placebo e incrociato. Tutti i pazienti avevano sintomi intrattabili con terapia analgesica classica. Dopo un periodo di 2 settimane di non trattamento, i pazienti hanno iniziato tre periodi di due settimane, durante ogniuno dei quali hanno ricevuto una di tre preparazioni spray orali: placebo; estratto totale di Cannabis sativa L. var. sativa, ovvero GW-1000-02 (Sativex), con rapporto THC:CBD circa 1:1 e presenza di altri fitocannabinoidi, terpenoidi e flavonoidi; GW-2000-02, contenente soprattutto THC. La riduzione del dolore e il miglioramento della qualità del sonno sono risultati statisticamente significativi, anche se la riduzione del dolore è stata inferiore all’ipotsti di partenza (due punti di decremento). Le medicazioni sono state ben tollerate e le reazioni avverse lievi o moderate e risolvibili spontaneamente.
    Nello studio più recente, Rog e collaboratori (Rog et al. 2005) hanno testato, in uno studio clinico randomizzato in doppio cieco su 66 pazienti con sclerosi multipla (d’ora in poi SM) e dolore neuropatico di tipo centrale non alleviato da analgesici convenzionali, il 65% dei quali necessitavano di supporto o di sedia a rotelle per camminare, l’efficacia del Sativex somministrato per 4 settimane sotto forma di spray oro-mucosale con dose auto-titolata dal singolo paziente.

    La posologia media è stata di 9,6 spray al giorno. L’intensità media del dolore e i disturbi del sonno si sono significativamente ridotti nel gruppo Cannabis (rispettivamente p=0.005 e p=0.003) rispetto al placebo. L’estratto è stato generalmente ben tollerato, anche se due pazienti hanno sospeso il trattamento per comparsa di disturbi psichiatrici (un soggetto) e di tachicardia e aumento della pressione arteriosa (un soggetto). Inoltre, un numero maggiore di pazienti, nel gruppo Cannabis, ha riportato senso di confusione mentale, sonnolenza, disturbi dell'attenzione.

    In un recentissimo studio randomizzato, controllato con placebo, in doppio cieco sull’efficacia, tollerabilità e sicurezza del Sativex nel trattamento del dolore causato da artrite reumatoide (Blake et al 2006), l’estratto di Cannabis è stato superiore al placebo in 58 pazienti con artrite reumatoide, in 5 settimane di trattamento. 31 pazienti hanno ricevuto Sativex e 27 placebo. I partecipanti potevano assumere fino a 6 dosi (1 dose di
    Sativex era pari a 2.5 mg di THC + 2.5 mg di CBD). La dose media raggiunta nell’ultima settimana di trattamento è stata di 13.5 mg di THC nel gruppo Cannabis. Nel gruppo Cannabis sono stati osservati miglioramenti significativi nel dolore in movimento, dolore a riposo, qualità del sonno, ed infiammazione, ma non è stato osservato un effetto significativo sulla rigidità mattutina (anche se i punteggi sono rimasti bassi). Effetti collaterali lievi o moderati.
    I ricercatori hanno concluso che si osserva un significativo effetto analgesico e una soppressione importante della patologia; le differenze sono lievi e variabili nella popolazione, ma rappresentano benefici di rilevanza clinica e mostrano la necessità di indagini più dettagliate su questa indicazione.

    Alcuni studi hanno dato risultati negativi; ad esempio Naef e collaboratori (Naef et al 2003) hanno testato, in uno studio randomizzato, controllato con placebo in doppio cieco incrociato, tre trattamenti orali monodose (THC 20 mg, morfina 30 mg e THC 20 mg + morfina 30 mg) o placebo su 12 volontari sani in vari modelli di dolore (calore, freddo, pressione, stimolazione elettrica transcutanea singola e ripetuta). Il THC non ha ridotto il dolore in maniera significativa, ed ha prodotto iperalgesia nei test di caldo e freddo. Il trattamento THC-morfina ha mostrato un leggero effetto analgesico additivo nel test di stimolazione elettrica.
    In uno stidio randomizzato, controllato con placebo in doppio cieco, Buggy e collaboratori (Buggy et al 2003) hanno valutato l’efficacia del THC per alleviare il dolore post-operatorio in 40 donne a seguito di isterectomia addominale. Su richiesta delle pazienti per avere una dose di analgesico, esse ricevevano una dose singola di THC orale 5 mg (n= 20) o ( placebo (n = 20). La variabile misurata era la differenza di intensità dolorosa sommata (summed pain intensity difference (SPID)) dopo 6 ore dalla medicazione. I risultati sono stati negativ, e gli autori concludono che il THC non sembra efficace come analgesico in caso di dolore post-operatorio, confermando così le conclusioni di Campbell e collaboratori (Campbell et al. 2001),

    Studi su modelli animali (livello 7 scala di evidenza Bone 2004)
    Cannabis e cannabinoidi hanno dimostrato in studi su modelli animali di possedere effetti antinocicettivi, antinfiammatorii e antiperalgesici mediati da meccanismi centrali e periferici. Tre studi di miglior qualità hanno mostrato: attività analgesica dose-dipendente paragonabile a codeina con miglior effetto antispasmodico (Valussi 2003)

    Meccanismi d’azione
    I cannabinoidi producono un effetto analgesico sia a livello centrale che periferico, non mediato da recettori oppioidi ma con effetti sinergici a questi. A livello centrale l'effetto è mediato da recettori CB1 mentre a livello periferico è mediato da CB1 e CB2. E' possibile che all'effetto direttamente analgesico e antiiperalgesico si associ una spiccata azione antinfiammatoria. Inoltre sembra che parte dell'azione sia dovuta a meccanismi non recettoriali.

    I cannabinoidi agiscono sulle vie nocicettive ascendenti a livello spinale inibendo l'attività dei neuroni coinvolti nella trasmissione del dolore (sia sui terminali degli afferenti nocicettivi primari sia sui neuroni del corno spinale dorsale). Agiscono inoltre a livelli superiori (talamo e corteccia). Agiscono sulle vie discendenti riducendo l'influenza GABA-ergici sui i neuroni in PAG e RVM (disinibendoli), che di converso aumentano la loro azione inibitrice sulle vie ascendenti (Vaughan, Christie 2002).

    Uno dei possibili meccanismi di modulazione del dolore da parte del THC è l'azione sui recettori 5-HT3. Il THC agisce sui recettori 5-HT3, regola i livelli di sostanza P nei gangli basali ed ha un'azione di riduzione dell'attivazione del sistema NMDA/glutammato coinvolto nell'iperalgesia emicranica. Inoltre l'anandamide agisce sui recettori 5-HT1A (agonista) e 5-HT2A (antagonista).Questi dati suggeriscono che il THC possa essere efficace nel trattamento sintomatico dell'emicrania (agonista dei recettori 5-HT1A) e nella profilassi dei mal di testa cronici (antagonista dei recettori 5-HT2A). In effetti, il THC stimola la sintesi di serotonina e il suo contenuto cerebrale, favorisce il suo rilascio sinaptosomale e ne riduce l'uptake, ma inibisce anche il suo rilascio da parte delle piastrine dei soggetti emicranici. Inoltre il THC regola i livelli di sostanza P nei gangli basali ed ha un'azione di riduzione dell'attivazione del sistema NMDA/glutammato (vedi articolo precedente) coinvolto nell'iperalgesia emicranica. Da questi studi emerge un possibile ruolo della Cannabis e THC nella profilassi a lungo termine e nel trattamento sintomatico dell'emicrania, e nella profilassi dei mal di testa cronici (Russo 2002).

  • Antiemetica

    Tra gli anni 70 ed i primi anni 90 sono stati effettuati 15 studi clinici, 5 che hanno dimostrato l'efficacia del dronabinolo orale nel combattere nausea e vomito indotti da chemioterapia e 10 che hanno mostrato che il dronabinolo é attivo come (4 studi) o più (5 studi) degli antiemetici di sintesi del tempo (che non comprendevano la nuova generazione di serotonino-antagonisti), con un solo caso di minor efficacia. La somministrazione congiunta di THC e procloperazina è risultata più efficace delle due sostanze da sole e più tollerata dal punto di vista degli effetti collaterali del THC. Gli effetti collaterali sono quelli tipici: euforia, vertigine, sedazione, ipotensione, con rari casi di effetti più gravi. (Bayer 2001; Plasse 2002)

    Questi risultati sono stati convalidati da una metanalisi (Tramèr et al. 2001) che conferma l'efficacia dei cannabinoidi come antiemetici sia per via orale che intramuscolo.
    In vista di questi risultati e del supposto meccanismo d'azione del THC (inibizione dell'attivazione dei recettori 5-HT3), sarebbe utile testare l'associazione di THC con antiemetici serotonino-antagonisti, ed esplorare il possibile ruolo del THC nell'emesi ritardata, caso che gli antagonisti del 5-HT3 non controllano.

  • Antiglaucoma

    La capacità della Cannabis di ridurre la pressione intraoculare (PIO) ha stimolato l'interesse degli studiosi, dato che l'innalzamento della PIO è la singola causa più importante del glaucoma, una patologia che porta al deterioramento del nervo ottico e, se protratta, alla cecità. Il meccanismo specifico non è stato chiarito ma sono state trovate tracce di recettori CB1 nel corpo cigliato umano, ed esistono molteplici proposte per spiegare l'azione della Cannabis (Pate 2002; Porcella et al. 2001):
    1. riduzione della pressione sistemica
    2. riduzione della produzione di PGE2 oculare, che potrebbe innalzare la PIO (dubbio)
    3. mediazione del SNC (dubbio)
    4. riduzione delle secrezioni mediata dal SN adrenergico

    Secondo Colasanti (1986) il meccanismo più probabile é un aumento della capacità di drenaggio oculare con meccanismo indipendente dal SNC.

    L'aumento della PIO non è però il solo meccanismo patologico che porta al glaucoma: le lesioni nervose dipendono anche da problemi di microcircolazione, di apoptosi e di danno ossidativo. E' interessante notare come la Cannabis, a differenza di altri farmaci, possa influenzare positivamente anche questi processi, rendendola un rimedio molto completo.

  • Antispastica

    Disordini motori e spastici
    E' un dato che i recettori CB sono densamente presenti nei nuclei uscenti dei gangli basali e che i cannabinoidi modulano la neutrotrasmissione nei gangli basali, probabilmente con tre meccanismi: aumento della trasmissione GABAergica; diminuzione del rilascio di glutammato; modificazione dell'uptake dopaminergico. Viene quindi proposto che il sistema di cannabinoidi endogeni possa giocare un ruolo nella modulazione dell'attività motoria e nella patofisiologia dei disordini spastici e del movimento definiti come ipertonia muscolare che si sviluppa a seguito di lesioni sopraspinali o spinali nei tratti piramidali o altri tratti motori discendenti (Musty and Consroe 2002).

    Secondo Tramèr et al. (2001) sarebbe utile indirizzare la ricerca nei confronti del possibile impiego dei cannabinoidi nel trattamento sintomatico del tremore e della spasticità muscolare che colpiscono ad esempio i malati di SM ed i pazienti affetti da morbo di Parkinson, ambiti questi in cui la necessità di terapie efficaci è indiscutibile.

    La spasticità, insieme ad altri sintomi dolorosi o del movimento, caratterizza la SM e le lesioni spinali.
    Una review su pazienti con SM mostra che il 45% utilizza Cannabis per ridurre i sintomi. Il 56% di questi la utilizzavano prima della diagnosi, mentre il 44% inizia ad usarla dopo la diagnosi. Il 49% vorrebbe continuare ad utilizzarla per alleviare i sintomi. Sembra che i cannabinoidi siano più utili per spasmi e dolore se assunti prima di andare a dormire.

    Vi sono vari studi clinici con pazienti sofferenti di SM che convergono nel dimostrare l'efficacia dei cannabinoidi, sia esogeni, sia endogeni nella riduzione della spasticità e del dolore, e in un caso del tremore, e vi sono importanti dati preclinici che mostrano come vari agonisti dei recettori CB riducano l'iperalgesia, l'allodinia e il tremore (due dei tre sintomi patognomonici della SM) in modelli animali.

    Nel 2003 è stato pubblicato lo studio randomizzato e controllato con placebo più ampio ad oggi disponibile sugli effetti dei cannabinoidi sulla SM, il cosiddetto “Studio Cannabinoidi per SM” (CAMS) (Zajicek et al. 2003). Nello studio sono stati trattati 630 pazienti con SM stabile e spasmi muscolari con un estratto di Cannabis orale (n=211), THC (n=206), o placebo (n=213), per 15 settimane. Non è stato notato alcun effetto dei cannabinoidi sulla spasticità (scala di Ashworth ) ma è stato notato un effetto oggettivo sulla mobilità e un effetto soggettivo su spasticità e dolore (riportati dai pazienti). Gli autori concludono che i risultati suggeriscono una utilità clinica dei cannabinoidi. In uno studio di follow-up (Zajicek et al 2005) sull’efficacia e la sicurezza dei cannabinoidi a lungo termine, ai pazienti è stato chiesto di continuare la medicazione in doppio cieco per 12 mesi. Nell’80% dei pazienti si è evidenziato un ridotto effetto di trattamento della spasticità (scala di Ashworth), e si sono evidenziati effetti di trattamento del THC su alcuni aspetti della disabilità; la maggioranza dei pazienti ha avvertito che il trattamento fosse utile e gli effetti avvrsi sono stati trascurabili.
    Gli autori concludono che lo studio fornisce evidenza limitata sull’efficacia a lungo termine dei cannabinoidi.

    Wade e collaboratori (Wade et al. 2004) hanno testato il Sativex sul ventaglio di sintomi causati dalla SM, in uno studio randomizzato in doppio cienco controllato con placebo a gruppi paralleli multicentrico. I 160 pazienti con SM ammessi allo studio soffrivano di almeno uno dei seguenti sintomi: spasticità, spasmi, problemi alla vescica, tremore o dolore. Gli interventi erano spray oro-mucosali di placebo o di Sativex al dosaggio di 2.5-120 mg di ognuno al giorno, e la valutazione è stata fatta secondo una Visual Analogue Scale (VAS) per ogni sintomo e altre variabili sognificative (sonno, umore, disanìbilità, affaticamento, ecc.).
    Il punteggio del sintomo principale si è ridotto maggiormente dopo il Sativex risptto al placebo, e i valori VAS per la spasticità si sono ridotto in maniera significativa. Non sono stati rilevati significativi eventi avversi su umore e congnizione,e l’intossicazione è stata moderata.

    Lo studio prospettico, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo e incrociato di Vaney e collaboratori (Vaney et al 2004) ha testato gli effetti di un estratto di cannabis somministrato per os (capsule standardizzate per contenenre 2.5 mg di THC e 0.9 mg di CBD ciascuna) in pazienti con SM e spasticità non o male controllata. I 57 pazienti divisi nei due gruppi sono stati valutati con autovalutazioni giornaliere su frequenza degli spasmi e su altri sintomi, scala di Ashworth, Indice di Mobilità Rivermead, ed altri test.
    10-m timed walk, nine-hole peg test, Nei 50 pazienti inclusi nell’analisi intention-to-treat non sono state notate differenze significative rispetto al placebo, ma sono state osservate tendenze in favore del trattamento attivo rispetto a frequenza degli spasmi, mobilità e qualità del sonno. Nei 37 pazienti che hanno ricevuto almeno il 90% della dose prescritta (come da protocollo) i miglioramenti rispetto a frequenza degli spasmi e mobilità sono stati statisticamente significativi.. Gli autori concludono che un estratto standardizzato di cannabis potrebbe ridurre la frequenza degli spasmi ed aumentare la mobilità con effetti collaterali tollerabili in pazienti con SM e spasticità persistente non controllata con altri farmaci.


    Da riportare uno studio clinico randomizzato controllato in doppio cieco crossover su 16 pazienti con SM, con THC orale e cannabis orale, che non ha dimostrato effetti sulla spasticità (Killestein et al. 2002). Risultati più ambigui sull'atassia.
    Lo studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo e incrociato di Fox e collaboratori (Fox et al 2004) ha esaminato l’effetto di un estratto di cannabis (cannador) su 14 pazienti (8 donne e 6 uomini, età media 45 anni) con SM con tremori degli arti superiori (valore medio della Expanded Disability Status Scale di 6.25). Lo studio è durato due settimane con dosi crescenti di trattamento. Non è stato rilevato alcun miglioramento significativo del tremore rispetto al placebo. Tuttavia si è rivelato una tendenza significativa dei pazienti a provare un sollievo soggettivo maggiore dei tremori dopo l’assunzione di Cannabis.
    Possiamo concludere che la Cannabis può avere un effetto su tremore e dolore in SM, e ha un potenziale ruolo nella riduzione dell'atassia, tutti sintomi importanti e male o non controllati dai farmaci ortodossi.


    I circuiti dei gangli basali sono coinvolti anche in altre patologie, come la sindrome di Tourette, la distonia, la discinesia, i movimenti coreiformi, ecc.

    Sindrome di Tourette, distonia, discinesia.
    Vi sono molti dati ottenuti da case-reports che supportano l’utilità della Cannabis nei disturbi di distonia e discinesia (Muller-Vahl et al 2002b), ma si stanno accumulando anche molto dati da studi clinici di buona qualità.
    In uno studio clinico randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo e incrociato su 12 adulti sofferenti di Sindrome di Tourette, l'uso di dose singola di THC (5.0, 7.5 o 10.0 mg) ha portato ad un miglioramento statisticamente significativo dei tic motori e vocali e dei comportamenti ossessivo-compulsivi superiore al placebo, miglioramento correlato con la concentrazione ematica del metabolita del THC, 11-idrossi-Delta(9)-tetraidrocannabinolo (11-OH-THC) (Muller-Vahl et al 2002a). Per ottenere dati più affidabili e più a lungo termine sull’efficacia del THC in caso di tic, Muller-Vahl e collaboratori (Muller-Vahl et al 2003a) hanno studiato 24 pazienti con SM secondo i criteri del DSM-III-R. Lo studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, della durata di 6 settimane, ha testato dosi fino a 10 mg/die di THC.
    I tic sono stati valutati usando 5 diverse scale di misura, in 6 momenti diversi durante lo studio (1 = basale, 1,
    baseline; 2-4 = durante il trattamento, 5-6 = dopo il ritiro della medicazione). E’ stata osservata una differenza statisticamente significativa (p <.05)o una tendenza verso una differenza statisticamente significativa (p <.10) tra THC e placebo. Il test ANOVA ha mostrato una differenza significativa (p =.037). Secondo gli autori i risultati confermano e supportano vieppiù l atesi che il THC sia efficace e sicuro nel trattamento dei tic, e che il sistema dei recettori cannabinoidi centrali giochi un ruolo nella patologia della Sindrome di Tourette.
    Per valutare il rischio che l’utilizzo di cannabis possa causare deficit cognitivi acuti e cronici, Muller-Vahl e collaboratori (Muller-Vahl et al. 2003b), in uno studio randomizzato in doppio cieco controllato con placebo, hanno investigato l’effetto sulla performance neuropsicologica di un trattamento con un massimo di 10 mg di THC per un periodo di 6 settimane in 24 pazienti con Sindrome di Tourette. Non è stato osservato alcun effetto negativo durante il trattamento, subito dopo e fino a 6 settimane dopo la fine del trattamento, ed è stato osservato una tendenza verso il miglioramento dello span mnemonico verbale immediato . Gli autori concludono che nei pazienti sofferenti da Sindrome di Tourette, il trattamento con THC non causa deficit cognitivi acuti o cronici.

    Con il termine distonia si caratterizza un gruppo di disordini neurologici alla base dei quali stanno anomalie dei gangli basali ed in particolare l’iperattività del globus pallidus laterale (GPl). I recettori cannabinoidi sono localizzati presinapticamente sui terminali GABA nel GPl, dove la loro attivazione riduce la ricaptazione del GABA. La stimolazione di questi recettori potrebbe quindi ridurre l’iperattività del GPl e quindi ridurre la distonia (Muller-Vahl et al 2002). In uno studio clinico randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo e incrociato (Fox et al. 2002), l’uso dell’agonista cannabinoide sintetico nabilone in pazienti con distonia primaria generalizzata e segmentale non ha mostrato alcuna riduzione della distonia.
    D’altro canto, 3 studi non controllati hanno mostrato un miglioramento dopo l'uso di cannabidiolo orale della distonia focale facciale, del torcicollo spastico e di movimenti disponici (Muller-Vahl et al 2002).

    Un’altra ipotesi è che i cannabinoidi siano utili nella riduzione della discinesia indotta da levodopa in casi di Parkinson (Muller-Vahl et al 2002), ma nello studio di Carrol e collaboratori (Carrol et al. 2004) i risultato spono stati negativi. Dopo uno studio di 4 settimane a dosi crescenti su sei pazienti con discinesia indotta da levodopa, è stato condotto uno studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo e incrociato su 19 pazienti che hanno ricevuto cannabis orale seguita da placebo, o viceversa (4 settimane di trattamento interrotte da 2 settimane di washout). Il trattamento non ha avuto alcun effetto nelle valutazioni oggettive e soggettive sulla discinesia o sul parkinsonismo.

    Un’ulteriore ipotesi è che gli antagonisti dei recettori CB potrebbero risultare utili in caso di corea di Hutchinson e di ipocinesi (Muller-Vahl et al 2002).

    Un dubbio sull'uso dei cannabinoidi nasce dalla constatazione che l'azione antispastica è mediata solo dai recettori CB1, che sono anche coinvolti negli effetti psicotropi, indesiderati in una terapia a lungo termine. Ciò suggerisce l'utilità di utilizzare molecole che non abbiano capacità legante con CB1 ma che inibiscano la degradazione degli endocannabinoidi, aumentandone la concentrazione nelle aree cerebrali deficienti senza influire sulla percezione (Baker et al 2003).

  • Immunomodulante

    Effetto sul sistema immunitario e sui meccanismi autoimmunitari
    (Cabral 2001; Klein et al 2000)

    Studi in vitro o su modelli animali (livello 7 scala di evidenza Bone 23004)
    A differenza che in altri casi, la presenza di recettori ed il ruolo del sistema cannabinoide nello sviluppo del sistema immunitario rimangono ancora poco chiari. L’interesse dei ricercatori si è concentrato sul possibile ruolo del sistema cannabinoide nella regolazione del sistema immunitario, e sul possibile utilizzo dei cannabinoidi allo scopo di trattare varie malattie legate al sistema stesso.

    Gli studi che rivelano queste attività sono solo in vitro o in vivo su modelli animali, e restano in parte lacunosi e in parte contraddittori. Non esistono, infatti, al momento, evidenze di tipo clinico che leghino l'uso di Cannabis o di cannabinoidi (uso ricreazionale o terapeutico) a modificazioni immunitarie in esseri umani (Cabral 2001; Klein et al 2000).
    Il meccanismo d’azione dei cannabinoidi non sembra derivare da un’azione diretta degli stessi sulle cellule del sistema immunitario attraverso un’alterazione delle cellule con fenomeni di perturbazione e lesione delle membrane (plausibile solo in caso di contatto diretto a concentrazioni elevate).
    Si ipotizza piuttosto una modulazione per mezzo dei recettori dei cannabinoidi, CB1 e CB2.
    Le cellule del sistema immunitario esprimono sia CB1 sia CB2 (qust’ultimo è preponderante), in un ordine decrescente linfociti B > cellule NK > monociti > neutrofili > CD8 > CD4, che sono.
    La maggior parte degli studi sull’effetto dei cannabinoidi rileva una inibizione delle cellule del sistema immunitario, ma alcuni studi su endocannabinoidi rilevano una stimolazione; è stata proposta una risposta bifasica dipendente dalal concentrazione di cannabinoidi, ed è stato notato che il THC potrebbe comportarsi come agonista parziale e ridurre l’effetto del 2-AG che è invece un agonista totale.

    Effetti su linfociti T.
    Gli effetti dei cannabinoidi sui linfociti T sono importanti; i dati evidenziano l'attività dei cannabinoidi sulla modulazione dell'espressione delle citochine espresse da linfociti T in vitro, tendenzialmente in senso inibitorio; questi effetti sono però al momento di non facile interpretazione, perché molte citochine vengono sia stimolate sia inibite. In particolare si può dire che il THC stimola la produzione di IL-1, IL-4, IL-6 e TNF, mentre il CBD stimola IL-12. Il THC inibisce la secrezione di IFN-gamma, TNF, IL-2, IL-10, IL-12, forse IL-15, mentre il CBD inibisce IL-1, IL-10, IFN-gamma, TNF. Per IL-1, IL-12, IL-6, TNF, IL-8, IL-10 le risposte sono state ambigue.
    I cannabinoidi parteciperebbero alla modulazione sia dell'immunità cellulo mediata e proinfiammatoria attraverso un effetto regolatore delle citochine della classe Th1 (= IL-1, IL -2, IL -6, IL -12, IFN-gamma e TNF-alfa), sia dell'immunità umorale attraverso un effetto regolatore delle citochine della classe Th2 (IL-4, IL -5, IL -10-, IL -13). Nonostante, come si è detto, i dati non permettano di trarre conclusioni precise, è possibile che l’uso di cannabinoidi porti all’induzione di uno shift da citochine tipiche dell'attività del subtipo Th-1 a citochine legate al subtipo Th-2.

    Effetti sui linfociti B
    I linfociti B (che esprimono un maggior numero di CB2) vengono influenzati dai cannabinoidi, m anon è chiaro se questa influenza si adiretta tramite i recettori, oppure indiretta tramite la modulazione dei linfociti T che poi regolano l’espressione delle immunoglobuline d aparte dei B. Dai dati in vitro risulta che i cannabinoidi portano ad una riduzione nel numero e nella proliferazione dei linfociti B, ed ad una riduzione delal secrezione di immunoglobuline (IgG, IgM, proteine del complemento C3 e C4). In fumatori cronici di Cannabis i livelli di linfociti B, T, di IgG ed IgM sono risultati normali e i livelli di IgE leggermente superiori alla media, ma altri studi non confermano questi dati.

    Altri effetti
    Nei macrofagi l'interazione con CB1 può causare la soppressione del rilascio dell'ossido nitrico e di TNF-alfa, e CB2 media la riduzione della fagocitosi e l'inibizione della capacità di processare antigeni, e l'inibizione dell'immunità citochino-mediata antitumorale. Esistono pochi studi su neutrofili e cellule NK, per queste ultime forse i cannabinoidi hanno azione inibente o neutra e forse riducono la espressione di RANTES, MIP-1-alfa e MIP-1-beta. La relazione con i mastociti è anch’essa poco chiara, è in dubbio il fatto che i mastociti esprimano recettori CB, e forse i cannabinoidi agiscono sul rilascio di istamina (aumentandolo in alcuni casi) in maniera CB-indipendente.

    Queste alterazioni immunitarie possono portare a diminuzione delle difese immunitarie ma allo stesso tempo anche a riduzione di processi infiammatori patologici cronicizzati tipici delle patologie autoimmuni mediate da risposta Th1, come SM, artrite, diabete tipo 1, morbo di Crohn (Melamede 2002). Katona e collaboratori (Katona et al 2005) hanno analizzato i dati provenienti dallo studio “Cannabinoidi nella Sclerosi Multipla” (Cannabinoids in MS – CAMS - Zajicek et al 2003), il più ampio studio clinico fin’ora condotto sull’attività terapeutica dei cannabinoidi. Gli autori concludono che non vi è evidenza di un’azione dei cannabinoidi sui livelli ematici di IFN-gamma, IL-10, IL-12 o proteina C-reattiva. Di segno opposto i risultati dello studio di Wright e collaboratori (Wright et al 2005) sul Morbo di Chron. I ricercatori hanno scoperto che nei pazienti sofferenti di Morbo di Chron e colite ulcerosa esiste una maggiore concentrazione di recettori cannabinoidi CB2 a livello dei tessuti intestinali, ed hanno interpretato questo dato come un tentativo dell’organismo di moderare la anomala risposta infiammatoria che caratterizza queste malattie.

    In una recente rassegna degli studi pubblicati, Croxford e Yamamura (Croxford, Yamamura 2005) fanno il punto della situazione e confermano il potenziale effetto terapeutico dei cannabinoidi in una varietà di malattie immunologiche di grande rilevanza clinica e sociale, tra le quali in particolare la SM, l'artrite reumatoide, l'asma bronchiale, il diabete.
    Nel caso della SM vi sono dati incoraggianti di una azione protettiva dovuta sia a meccanismi diretti sulle cellule del SNC sia a meccanismi immunitari; la terapia cannabinoide potrebbe portare giovamento sintomatico (dolore e gonfiore articolare) e riduzione della progressione della malattia e della distruzione delle articolazioni in caso di artrite reumatoide; i cannabinoidi potrebbero proteggere il pancreas dalle lesioni distruttive in caso di diabete mellito, ed anche portare sollievo in caso di dolore neuropatico; l’effetto dei cannabinoidi sugli spasmi bronchiali in caso di asma è ambiguo, sembra cioè ridurre gli spasmi in caso di muscolatura contratta, ma causare broncospasmo in caso di muscolatura rilassata.

  • Neuroprotettiva

    Neuroprotezione ed azione antischemica
    La neurodegenerazione è il fattore che caratterizza il morbo di Huntington, di Parkinson e di Alzheimer (MdA), i disturbi dei neuroni motori, l'ischemia, ed è forse un fattore che favorisce la progressione della SM (Baker et al 2003). Uno dei passaggi iniziali nel processo patologico che porta al danno neurodegenerativo è il rilascio di neurotrasmettitori eccitatori come il glutammato, che portano all'eccitazione di recettori NMDA (N-metil-D-aspartato) che ha come risultato finale l'entrata massiva di calcio nella cellula e seguente morte della stessa. Un possibile ruolo protettivo dei cannabinoidi è stato postulato vista la loro abilità di inibire l'apertura di canali calcio e quindi sia di inibire il rilascio di glutammato sia di inibire l'entrata di calcio nella cellula. Per essere attivi in caso di lesioni acute (ischemia cerebrale, traumi cranici) i cannabinoidi dovrebbero però essere somministrati prima o durante l'attacco. Potrebbero semmai essere più utili in caso di degenerazioni progressive, dove i tempi di rilascio di neurotrasmettirori si allungano (Hampson 2002). Ma oltre al meccanismo dell'eccitotossicità, anche il rilascio di radicali libero può mediare le lesioni neurologiche, ed anche in questo caso i cannabinoidi possono svolgere un ruolo protettivo. In specifico, i cannabinoidi (ed in particolare il cannabidiolo) sembrano essere degli antiossidanti molto attivi e biodisponibili, in grado di proteggere i tessuti dal danno ischemico (Hampson 2002).
    Belen e collaboratori (Belen et al 2005) hanno analizzato campioni di tessuto cerebrale di pazienti affetti da MdA e hanno notato che le aree in cui erano presenti le tipiche lesioni infiammatorie degenerative erano caratterizzate da una ridotta presenza di recettori cannabinoidi CB1 rispetto ai campioni di tessuto cerebrale “sano”. Per verificare che i cannabinoidi fossero effettivamente in grado di ridurre le lesioni infiammatorie e, di conseguenza, prevenire il declino cognitivo, un cannabinoide sintetico, il WIN55,212-2, è stato somministrato ad un modello sperimentale animale di MdA (ratti). I ratti trattati hanno effettivamente mostrato una diminuzione delle lesioni infiammatorie e dei disturbi cognitivi.
    Recentemente è stato studiato un analogo del delta-9-THC che non mostra alcuna attività tipo-THC, ma che ha mostrato interessanti attività neuroprotettive: l'HU-211. Dagli studi in vitro sembra che protegga le cellule dalla eccitotossicità mediata da glutammato e recettori NMDA, e sopprima la produzione di TNF-alfa. In studi su modelli animali ha mostrato di proteggere da edema, da lesioni della barriera emato-encefalica (BEE), dal danno a funzioni motorie e cognitive, dall'accumulo di Ca e dalla produzione di TNF-alfa causati da traumi cranici. Riduce inoltre il volume di tessuto infartuato e migliora i parametri neurologici in caso d'ischemia cerebrale focale. Nei pochi studi su esseri umani limita l'elevazione della pressione intracraniale, riduce la crescita di pressione di perfusione cerebrale e migliora l'outcome dei pazienti (Mechoulam, Shahami 2002).

  • Oressigenica

    Cachessia e anoressia
    I risultati di 7 studi clinici in doppio cieco su cachessia in pazienti tumorali e su 'wasting syndrome' da AIDS mostrano come THC o estratti standardizzati di Cannabis riducano i sintomi di anoressia, nausea cronica, astenia e depressione; meno certo è l'effetto sull'aumento di peso. (Bayer 2001; Schnelle e Strasser 2002).
    Due comparazioni THC / Cannabis fumata / placebo in persone con AIDS (Abrams 2000; James 2000) hanno dimostrato un aumento di peso (Cannabis > THC > placebo), in uno (Abrams 2000) senza alcun effetto virologico avverso nel breve termine.

    Gli effetti collaterali osservati sono quelli tipici e di lieve/moderata entità, con una percentuale di pazienti molto bassa costretti ad abbandonare lo studio.
    Sulla base di questi studi, il dronabinolo è stato approvato per il trattamento della sindrome cachessica da AIDS perché efficace e sicuro nel lungo termine (12 mesi) (Beal et al 1995; Beal et al 1997).


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