Barosma

Agathosma betulina (P. J. Bergius) Pillans

Etnobotanica

barosma

Il buchu è una piccolo arbusto sempreverde aromatico nativo della zona del Capo in Sud Africa. Le foglie della pianta sono un rimedio tradizionale usato da centinaia di anni dalle popolazioni indigene del Sud Africa, in particolare dagli ottentotti del Capo di Buona Speranza (il nome deriva dal termine ottentotto Bookoo o Buku). Le foglie polverizzate venivano usate come talco profumato, mentre il decotto o il distillato alcolico (detto buchu brandy) era considerato un efficace rimedio per tutte le affezioni gastrointestinali e del tratto urinario, in particolare come stimolante e diuretico, e come carminativo per ridurre il gonfiore addominale e il meteorismo. Si utilizzava anche il decotto delle foglie applicato esternamente sulle ferite.
Gli utilizzi della pianta vennero notati dai coloni olandesi, i quali iniziarono più tardi l’esportazione in Gran Bretagna. La prima notizia della presenza di un carico di buchu a Londra risale al 1790, e la pianta divenne farmaco ufficiale nel 1821 (per la ditta Reece & Co), con indicazioni d'uso per “cistite, uretrite, nefrite e catarro della vescica” (Simpson 1998; Fluckiger, Hanbury 1885). Altre fonti dichiarano che il Buchu fosse presente in Europa continentale fin dal 16o secolo, usato per trattare problemi di gotta, disordini della vescica, reumatismo e problemi della prostata (Brendler, Jaenicke 2000).

Il rimedio ebbe molto successo in Inghilterra e negli Stati uniti, dove entrò nelle Farmacopee del tempo, meno nell’Europa continentale. Lloyd (1911) nella sua History of the vegetable drugs of the USP, commenta che forse nessun altra preparazione officinale americana ebbe tanta fortuna quanto il decotto debolmente alcolico di foglie di Buchu che andava sotto il nome di “Helmbold's Buchu”, e la farmacopea statunitense del tempo già riconosceva i problemi di sostituzione e adulterazione della A. betulina con A. crenulata ed altre spescie, ed avvertiva delle profonde differenze tra gli oli essenziali delle diverse specie (Remington, Woods et al. 1918).

In genere nei paesi anglosassoni l’utilizzo tradizionale si concentra su problemi del tratto urinario con infiammazione delle mucose, in particolare del basso tratto urinario e della prostata; perdite nelle urine; sabbia renale; incontinenza associata a prostatite; urgenza. Inoltre è stata usata per migliorare l’appetito, ridurre la nausea e la flatulenza.
I medici Eclettici statunitensi (Culbreth 1927; Felter, Lloyd 1898; Felter 1922; Petersen 1905) descrivevano il rimedio principalmente come diuretico (che aumenta volume e contenuto in solidi delle urine), tonico, stimolante aromatico e disinfettante per il tratto urinario, seppure Felter (1922) avverta che l’effetto sui reni è moderato, e che andrebbe sempre usato in combinazione, e la USP avverte che l’effetto sul volume delle urine è quasi nullo, e che di conseguenza non può essere utilizzato per trattare i casi di idropsia.
Dato il contenuto in olio essenziale, era anche indicato, seppure in modo meno specifico, come carminativo, antiemetico, oressigenico e diaforetico (sotto forma di decotto caldo) (Culbreth 1927, Felter, Lloyd 1898), stomachico ed antidispepsico, ma gli autori concordano che in questi casi il rimedio sia secondario, e superato in efficacia e specificità da altre piante (Petersen 1905) o addirittura di poca utilità (Felter 1922, Ellingwood 1919).

Date queste proprietà del rimedio, gli Eclettici indicavano come specifiche le seguenti indicazioni: urine eccessivamente acide, con costante desiderio di urinare ma poco sollievo dopo la minzione, irritazione vescico-renale, con secrezioni catarrali, abbondanti perdite mucose o mucopurulente, cistorrea, cistite cronica (Felter, Lloyd 1898, Felter 1922).
Altre indicazioni comprendevano sabbia renale e litemia, pielite, uretrite, prostatite (su questa indicazione il King’s Dispensatory (Felter, Lloyd 1898) dice “ si dice che la sua azione sulla prostata rassomigli quella della Thuja, seppure sia meno potente di quest’ultima”.
Sia Petersen (1905) che Ellingwood (1919) concordano che abbia un effetto lenitivo e rilassante sull’apparato urinario, utile in caso di debilitazione ed infiammazione, per regolare il flusso delle urine, e tutti gli autori lo consigliano in condizioni croniche con eccessi di acido urico.

Indicazioni meno specifiche comprendevano dispepsia, flatulenza, bronchite, affezioni cutanee e reumatiche, ma per molti autori l’azione del rimedio in questi casi è debole e altre piante sono più indicate.
Veniva fortemente sconsigliato in caso di affezioni acute (Felter 1922).


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