Uva ursina

Arctostaphylos uva-ursi (L.) Spreng.

Etnobotanica

    Uva ursina

    Il nome comune della pianta per tutti i nativi nordamericani è Kinnickinnick.
    Anche se di chiare origini algonchine, il termine viene utilizzato da tutti i nativi nordamericani a prescindere dalla loro lingua (questo utilizzo comune può derivare da ipotetiche esplorazione dei proto-algonchini durante la Grande Migrazione Megis, ma è più probabile che c’entrino le più moderne migrazioni in automobile). La radice potrebbe essere Kinikinih- (mescolare), che farebbe riferimento all’utilizzo della pianta come base per le miscele da incenso sacro, da fumigazioni e medicinali. Dato che il raddoppio della parola forma il superlativo, il nome potrebbe significare “molto mescolato”. Altre possibilità sono il raddoppio delle sillabe ki-ni (tu-io), la abbreviazione di Ki-Niccon (tu-amico) ovvero ancora la forma completa del plurale Ki-Nicconuk (Keewaydinoquay 1977).

    Un fatto particolarmente degno di nota è che in Nord America gli utilizzi non alimentari della pianta siano del tutto sovrapponibili in tutta l’area circumboreale, nonostante le grandi differenze esistenti tra le varie tribù, e nonostante le differenze in competenze, tradizioni ecc. Di certo si sa che l’utilizzo nella zona dei Grandi Laghi risale almeno alla preistoria (parti della pianta sono state trovate presso i siiti archeologici di Juntunen e dell’Isola Royale). Secondo Keewaydinoquay (1977), le indicazioni principali che si riscontrano in 14 tribù nordamericane, presso gli eschimesi ed i popoli della Kamchakta sono le stesse, e si possono così riassumere:
    1. Legno per punteruoli e pomelli di opunteruolo
    2. Carbone del legno per produrre pigmeni neri
    3. Foglie e bacche secche come medicinali
    4. Foglie e bacche secche come miscela da fumare

    Le foglie sono usata come rimedio emetico dai navajo. Carver (citato in Keewaydinoquay 1977) dice dell’uva ursina che è “una infestante che cresce vicino ai Grandi Laghi, in aree rocciose e sassose, e che gli indiani usano nella stagione estiva ... Viene chiamata segockimac, ... e le sue foglie, essiccate e polverizzate vengono mescolate al tabacco e fumate, come detto, solo d’estate” .

    Le forme galeniche di utilizzo popolare sono quattro: decotto, infuso, tintura e miscele da fumo (sia come rimedio per malattie sia come medicina spirituale). Il fumo medicinale, l’inalazione e le fumigazioni sono tutte pratiche comuni tra i nativi americani. Tre tribù indicano l’utilizzo delle foglie secche come parte di un rimedio casalingo per il mal di testa. Il mix per il mal di testa usato dai Chippewa consiste in: corteccia polverizzata di Salix spp., foglie di Hierocloe odorata e foglie di uva ursina non polverizzate sino al momento dell’utilizzo nella pipa.
    Le tribù del Sud Ovest degli Stati Uniti hanno utilizzato l’uva ursina (chiamata in queste zone Corallillo o Manzanita) come sostituto per il tabacco, e i Pueblos lo utilizzavano come pianta da pipa cerimoniale. Veniva anche raccomandato per il trattamento della sifilide e della gonorrea, in decotto con zucchero assunto alla mattina per dieci giorni.
    L’infuso veniva utilizzato per dimagrire e come lavaggio esterno in caso di dolori reumatici (Curtin 1947)

    L’uva ursina viene usata nella medicina popolare dei Carrier, un popolo di lingua Athapaskan che vive nelle peccete del nord est della British Columbia (Ritch-Krc et al. 1996).

    Le foglie e le radici di una specie vicina all’uva ursina (Arctostaphylos pungens Kunth Ping) vengono usate in infuso e decotto in Messico come rimedio ipoglicemizzante per trattare il diabete (Andrade-Cetto, Heinrich 2005).

    La pianta veniva sicuramente usata nel 13° secolo in Galles, dai “Physicians of Myddfai”, ed è stata descritta da Clusius nel 1601 e da Gherardo da Berlino nel 1763.

    E' entrata nella Farmacopea di Londra nel 1788, ma secondo Grieve (1933) era in uso da molto prima.
    Il suo utilizzo è sempre rimasto lo stesso, come astringente e come antisettico urinario, anche se l'effetto diuretico si è dimostrato molto ridotto.

    La USD del 1918 (Remington et al. 1918) cita le sue proprietà stimolanti, astringenti e toniche, e ricorda che a dosi ridotte tende a ridurre l’irritazione cronica della vescica. Sempre la USD lo consiglia in caso di diarrea cronica, dissenteria, menorragia, diabete, enuresi, ecc., ed anche in caso di disturbi cronici dei reni e delle vie urinarie, nel catarro vescicale, nella gonorrea cronica, nella stranguria, nella leucorrea ed in caso di eccesso di perdite di muco e sangue nelle urine. La USD riconosceva che l’attività dell’uva ursina non poteva essere ridotta alla sola presenza di arbutina.

    Le indicazioni principali secondo la farmacopea eclettica dei primi del 900 (Remington et al. 1918, Felter 1922, Sayre 1917, Culbreth 1927; Ellingwood 1919; Lloyd, Felter 1898) erano:
    Cistite
    Membrane del tratto urinario rilassate e congestionate, con catarro e sensazione di pesantezza ai fianchi e nella zona pelvica, e cattiva circolazione pelvica.
    Infiammazione cronica della vescica con dolore, tenesmo e perdite di muco.
    Ulcerazioni del tratto urinario
    Aiuta anche in caso di spasmi della vescica, e in caso di litiasi renale anestetizza le membrane facilitando il passaggio del calcolo.
    Utile anche in caso di emorragia passiva di ridotta entità, e nei disturbi cronici della laringe, dei bronchi e dei tessuti polmonari, con catarro e tosse.


    Uso alimentare
    Quasi la totalità delle autorità botaniche elenca il frutto dell’uva ursina come non commestibile,ed allo stesso tempo cita le sue elevate proprietà nutrizionali. La soluzione all’incongruenza ce la possono suggerire alcuni nomi popolari: i primi colonizzatori anglossassoni chiamavano la pianta mealberry (bacca da farinata/polenta) e i piedi neri la chiamavano anche Ka-Ka-sin (mescola-nella-farina/polenta), e Grinnel, un autore citato da Keewaydinoquay (1977) parla dell’uso che i Cheyennes fanno dei frutti come fonte di farina alimentare per preparare la polenta quando altre fonti usuali di farina siano scarse o inesistenti. Varie leggende dei nativi dei Grandi Laghi parlano dell’uva ursina come di una bacca “da carestia”, che l’orso mangia quando è disperato e non riesce a trovare null’altro da mangiare, e sono numerose le notizie riguardo l’uso del frutto aggiunto ai bolliti o alle zuppe per renderlo commestibile (il frutto crudo è insipido, secco e carnoso ma diventa dolce con la cottura). E’ quindi abbastanza chiaro che il frutto è un alimento di emergenza, che in tempi di abbondanza ritorna ad essere “solo” una pianta medicinale. Oltre che nelle zuppe il frutto è stato usato per preparare una bevanda dissetante o delle conserve. Se seccato si può conservare a lungo.


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